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Dal 2003 si combatte in Darfur una guerra per avere una indipendenza, un maggiore controllo
dell’area da parte delle opposizioni al governo centrale guidato dal Presidente Omar
Al Bashir, Le comunità del Darfur hanno chiesto a più riprese al governo centrale di poter
gestire autonomamente le risorse e il potere in Darfur, cosa che non è mai avvenuta fino
a quando si sono organizzati con gruppi armati e la ribellione è diventata forte, tanto
da potere attaccare le forze armate nella base dell’aeroporto a Khartoum. Quel momento
è stato considerato l’inizio vero e proprio del conflitto in Darfur. Ci sono vari gruppi
armati che combattono in Darfur, i più importanti sono il Sudan Liberation Movement e il Justice
Equality Movement. La fase più cruenta si è avuta dal 2003 al 2006 e in questi soli
tre anni le vittime registrate a causa del conflitto sfioravano le centomila, a oggi
sia per il conflitto che per la crisi umanitaria, le stime O.N.U. parlano di oltre 300 mila
vittime e quasi 3 milioni di sfollati. Di questi la maggior parte vive in campi profughi
che ovviamente hanno condizioni di vita al limite alla sopravvivenza e si è aggravata
ancora di più la situazione quando nel 2008 con l’incriminazione del Presidente sudanese
da parte della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e crimini
di guerra, ha espulso 13 delle maggiori organizzazioni non governative che garantivano assistenza
agli sfollati. Sono stati interrotti da quel momento tanti progetti, sia di assistenza
sanitaria, di scolarizzazione e anche la distribuzione alimentare ha subito una brusca frenata, a
tutt’oggi si contano almeno 700 – 800 mila persone che non sono raggiunte dagli
aiuti umanitari. La situazione quindi è di grande preoccupazione per il programma alimentare
mondiale che cerca di sopperire alle mancanze delle organizzazioni e del coordinamento degli
aiuti umanitari all’O.N.U. che è sul posto. Anche la sicurezza è sempre più a rischio
tant’è che si registrano anche attacchi ai campi oltre che a episodi di banditismo
e di rapimenti come quello dell’operatore di Emergency nei giorni scorsi.
Mi occupo da anni come giornalista delle cosiddette crisi dimenticate e di violazioni dei diritti
umani, sono un africanista e ho seguito dall’inizio le vicende del conflitto in Darfur, proprio
da questo mio impegno arrivando lì e vedendo con i miei occhi quello che stava avvenendo
e rientrando in Italia dove invece il Darfur era sconosciuto, è nata l'idea di creare
un movimento che raccontasse quello che stava avvenendo in Sudan. In Italia non si sapeva
nemmeno dove si trovasse il Darfur, che fosse una regione del Sudan, anzi perlopiù non
si sapeva nemmeno bene dove fosse il Sudan, quindi una crisi dimenticata in un paese dimenticato.
Proprio per questo è nata l’ idea di costituire un movimento, che poi è diventata una associazione,
ovvero Italians for Darfur che abbiamo tirato su con altri colleghi operatori umanitari
e Mauro Annarumma in particolare che è medico e da anni si occupa di queste vicende.
Per quanto riguarda la situazione attuale, il sequestro di Azzarà è stato l’ultimo
di una serie di episodi che portano alla luce quanto denunciamo da tempo, cioè che la situazione
in Darfur è più grave che mai, basti pensare che pochi giorni prima di questo rapimento
era stata attaccata una squadra, un convoglio della missione di pace dispiegata in Darfur,
Unamid, e c’erano state sia vittime che feriti. E poi si susseguono scontri, attacchi
anche e soprattutto da parte delle forze militari sudanesi contro villaggi a ridosso dei quali
sono presenti delle postazioni ribelli che continuano a contrastare il governo sudanese
e le vittime sono civili. Non a caso negli ultimi mesi si è registrato anche un nuovo
flusso di sfollati che aveva avuto una frenata, anzi c’era stato anche un trend positivo
di rientri nei villaggi e nelle aree pacificate. Purtroppo questo flusso di rientro si è intererotto
dal dicembre scorso quando è venuto meno l’unico accordo di pace che era stato firmato
nel 2006 con la spaccatura tra l’altro del maggiore gruppo di opposizione ad Al Bashir
che, parentesi, va ricordato è incriminato dalla Corte penale internazionale per crimini
di guerra contro l’umanità, e genocidio. Questo gruppo di ribelli si frantumò e una
parte decise di firmare questo accordo di pace, si costituì anche una authority che
doveva portare a una transizione con il governo locale e permettere così a una forte presenza
darfuriana di gestire il potere in Darfur. Cosa che poi negli anni non è avvenuta come
da accordi sottoscritti e nel dicembre 2010 questo accordo è saltato e sono ripresi gli
scontri tra le forze sudanesi e i seguaci di Minni Minnawi che era il leader di questa
fazione scissa dal Sudan Liberation Movement che aveva sottoscritto questo accordo.
Nel frattempo si è aperto anche il fronte nell’area del Jebel Marra che è particolarmente
ricca sia di acqua che di altre risorse. Va detto che in Darfur c’è petrolio che non
è stato ancora sfruttato perché non ci sono le infrastrutture, non c’è ancora una estrazione
tale che possa permettere di vivere di introiti del petrolio, ma è sicuramente un’area
che fa gola a chi da tempo fa affari con il petrolio con il governo sudanese, in particolare
parlo della Cina che è il maggiore partner del governo di Bashir e che come sappiamo
bene in Consiglio di sicurezza ha il diritto di veto e infatti ogni qualvolta si è provato
a rafforzare il mandato della missione dispiegata in Darfur, c’è sempre stata una opposizione
forte da parte dei cinesi. Ci sono due fronti contrapposti, da una parte
gli Stati Uniti che da tempo chiedono un inasprimento dell’intervento in Sudan, si era parlato
anche di no fly zone ma non si è mai arrivati a una definizione di una tale iniziativa e
dall’altra parte c’è la Cina e anche la Russia che hanno sempre preso le parti
di Bashir, anche quando il Presidente del Sudan è stato inquisito dalla Corte penale
e anzi si è cercato anche in qualche modo di frenare l’azione della Corte penale internazionale.
A tutt’oggi Bashir è libero di circolare, è stato anche recentemente in Cina ospite
del governo e non ha mai rischiato di essere arrestato, anche quando ha viaggiato in altri
paesi africani che hanno aderito alla Corte penale internazionale e quindi avevano l’obbligo
di arrestarlo. Al momento ci sono grossi interessi anche
per il futuro del sud Sudan che recentemente è stato riconosciuto indipendente, è stato
votato a grande maggioranza un referendum per l’indipendenza dal nord ed è il sud
Sudan una delle aree con le maggiori risorse petrolifere. Questo cosa c’entra con il Darfur? Da alcuni
mesi proprio a seguito dell’indipendenza del sud Sudan le aspirazioni indipendentiste
in Darfur hanno ripreso vigore, tant’è che il governo sudanese per cercare di arginare
queste nuove fiammelle di ribellione ha proposto un referendum, un referendum sullo status
amministrativo che però non prevede la possibilità di definire la sua indipendenza o meno dell’area,
ma se costituire due nuovi stati oppure lasciare com’è attualmente in Darfur tre stati,
ovviamente è un po’ fumo negli occhi perché è chiaro che non è certo questo che può
soddisfare le esigenze della popolazione di avere maggiore capacità di autogestirsi,
anche perché il potere, la suddivisione delle ricchezze non è equa, continua tutto a essere
gestito da Khartoum, dal governo centrale. E quindi tutto questo non è destinato a portare
a una pacificazione, tant’è che il fronte di opposizione rigetta questa proposta di
referendum, anzi è stata anche una delle motivazioni che ha spinto a non sottoscrivere
un nuovo accordo di pace che si stava discutendo a Doha e che è stato firmato solo da una
fazione minoritaria di uno dei movimenti che tuttora combatte contro le forze armate sudanesi,
ovvero il Liberation and justice Movement e quindi lascia un po’ il tempo che trova
questo accordo. La forza militare più consistente è quella dei due gruppi maggiori, ovvero
il Sudan liberation movement guidato da Wahid Al Nur e il Justice and Equality Movement
guidato da Khalil Ibrahim che è un po’ il leader, il maggiore leader della ribellione
darfuriana. Tutto questo a fronte di un altro grande problema
che sta colpendo le popolazioni sudanesi, ovvero il conflitto che si è aperto nel Sud
Kordofan che è un’area popolata perlopiù dal popolo dei nubiani, della Nubia, l’etnia
nera e che da giugno scorso è vittima di rastrellamenti e di violenze da parte delle
forze armate sudanesi che difendono questa loro azione affermando di contrastare i militari
dell’esercito del Sud Sudan che avrebbero occupato quest’area. Va ricordato che il
Sud Kordofan per anni è stato alleato del sud Sudan nell’ultraventennale guerra civile
con il nord, è chiaro che nel momento in cui il sud Sudan è diventato indipendente
e il Sud Kordofan è rimasto sotto il controllo del nord sono iniziate delle rappresaglie.
E questo è stato anche certificato proprio in questi ultimi giorni dall’Alto commissariato
per i diritti umani che ha presentato proprio, pochi giorni prima del sequestro di Azzarà,
un rapporto dove si parlava di questo nuovo Darfur, di questa nuova tragedia che si sta
consumando in Sudan. La cosa secondo me paradossale è che adesso tutti parlano di questo sequestro,
mentre si tace che a poche centinaia di chilometri hanno scoperto fosse comuni con centinaia
e centinaia di cadaveri, donne, bambini, uomini e l’Alto commissariato per i diritti umani
presenta un rapporto che denuncia tutto questo. Noi abbiamo denunciato questa cosa dal giugno
scorso, adesso l’O.N.U. che ha fatto delle ispezioni lì sul posto e ha raccolto testimonianze
di chi ha visto quello che è avvenuto, ha riferito in questo rapporto che ci sono i
presupposti per incriminare anche per il Sud Kordofan il governo sudanese per crimini di
guerra contro l’umanità. Quindi si sta consumando, si sta ripetendo in Sud Kordofan
quanto è già avvenuto in sud Sudan, quanto è avvenuto in Darfur, eppure che cosa fa
la comunità internazionale? Più volte è stato chiesto, in particolare dagli Stati
Uniti, di rendere la missione più forte, di fare in modo che si potesse intervenire
intanto con una no fly zone, cioè di fare quello che è stato fatto per la Libia per
impedire che i bombardieri di Khartoum continuassero a bombardare le popolazioni civili. Però
si è sempre opposta la Cina, ha sempre posto il veto sulla modifica del mandato. Dal luglio
2007 è stata approvata una risoluzione per autorizzare una missione di peacekeeping in
Sudan, in particolare in Darfur. E' stata in assoluto la missione autorizzata con il più alto numero
di caschi blu perché era stato previsto l’invio di un contingente di 26 mila uomini. A tutt’oggi
però questa missione non è totalmente dispiegata, inoltre è carente di mezzi fondamentali per
garantire protezione alle popolazioni sotto attacco, ovvero degli elicotteri a lungo raggio
che possano permettere la perlustrazione di aree grandi come il Darfur. Il solo Darfur
è grande quattro volte l’Italia. I caschi blu in Darfur, non riescono a garantire protezione
neanche a sé stessi e quindi figuriamoci se possono garantire la tutela, proteggere
la popolazione del Darfur. Da quando è iniziata questa missione sono morti quasi 60 caschi
blu in attacchi e scontri, a volte con le milizie arabe che ancora scorazzano in Darfur
e a volte proprio con le forze armate sudanesi che non hanno mai dato un vero supporto, anzi
hanno contrastato il dispiegamento di questa missione.