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Giovanni ha visto delle trasmissioni televisive
che facevano riferimento agli scenari probabilistici dei prodotti finanziari.
A dire il vero non ci ha capito quasi nulla.
È molto confuso.
Ciao Michele!
Mi spieghi a cosa servono gli scenari probabilistici, gli indicatori di rischio
e perché dovrebbero aiutarmi nel fare scelte di investimento oculate?
Caro Giovanni, non è un tema facile.
Quello che cercherò di spiegarti si adatta bene alla situazione attuale,
tieni presente però che le cose potrebbero cambiare rapidamente a seconda della regolamentazione
e delle indicazioni delle autorità di vigilanza.
L’utilizzo del termine scenari probabilistici viene un po’ dai media (trasmissioni televisive, giornali),
che possono aver fatto passare messaggi non proprio chiari, meglio parlare di indicatori di rischio.
Partiamo da un elemento ovvio.
Qualunque investimento tu consideri, il suo rendimento non è noto a priori.
Anche il BTP tradizionale con cedola fissa presenta un rischio di default dell’emittente.
Tipicamente un investimento, a seconda del titolo,
sarà caratterizzato da un rischio azionario, di interesse, di default, di cambio.
Va bene.
E quindi come faccio ad orientarmi per capire il rischio dei diversi prodotti su cui posso investire?
L’indicatore principale di rischio nei mercati finanziari è la volatilità
che rappresenta quanto il rendimento di un titolo (ad esempio giornaliero)
si è discostato dal suo valore medio.
Nel caso di titoli obbligazionari e azionari scambiati sui mercati,
questa informazione è reperibile sulla stampa specializzata o su Internet.
Nel caso in cui l’informazione sia significativa,
la normativa richiede che essa sia fornita nei prospetti informativi
(ad esempio nel caso dei fondi comuni di investimento o dei fondi pensione).
Un secondo indicatore di rischio è il VaR, cioè Value at Risk o Valore a Rischio.
È un indicatore introdotto in finanza circa 30 anni fa,
ma noto da sempre in statistica con un nome diverso, percentile o quantile.
Il VaR cerca di fornire un indicatore di rischio in termini di probabilità di perdita
e quindi per le oscillazioni negative del prezzo del titolo.
La volatilità invece misura in modo simmetrico la variabilità sia positiva sia negativa.
Mi sembra complicato…
Aiutami a capire.
Il VaR di un investimento è sempre riferito a un orizzonte di tempo,
supponi 1 mese, e un livello di probabilità.
Se investi 10000 € in un prodotto finanziario e il VaR a 1 mese,
con un livello di probabilità del 99%, è di 350 €,
significa che nell’1% dei casi peggiori per il tuo investimento,
perderai da qui a 1 mese almeno 350 € o, se preferisci, il 3.5% del tuo investimento.
Ti seguo! C’è altro da sapere?
Sì, c’è molto altro.
Nella prassi per calcolare il VaR si usano livelli di probabilità
come 95%, 99%, talvolta 99.9%.
Questo per evidenziare al cliente quale sarebbe la sua perdita negli scenari peggiori,
che avvengono rispettivamente con probabilità 5%, 1% o 0.1%.
E come orizzonte ci si posiziona su 1 giorno, 1 anno, 3 anni,
in relazione alle richieste della normativa e all’orizzonte di investimento del cliente.
Fissata la probabilità con cui valuti il rendimento futuro,
un investimento sarà tanto più rischioso quanto più elevato sarà il VaR
in quanto significa che perderai più denaro con una certa probabilità.
Mi è chiaro. Ma come si ricollega tutto questo
con le notizie che ho letto sui rischi delle obbligazioni bancarie?
Questo ha a che fare con la normativa posta a tutela dell’investitore.
Il contenuto dei prospetti informativi per offerte di investimento è differenziato a seconda
che si tratti di obbligazioni, azioni e altri strumenti più sofisticati, fondi comuni, strumenti assicurativi.
Nel 2009 CONSOB introdusse gli scenari probabilistici per i prospetti informativi delle obbligazioni
e dei fondi comuni di investimento,
come prassi che gli intermediari potevano seguire senza renderli obbligatori.
La richiesta era di evidenziare con quale probabilità il cliente avrebbe: a) perso del denaro
b) guadagnato ma meno dell’investimento privo di rischio come titoli di stato con la medesima durata
c) guadagnato in modo simile all’investimento privo di rischio
e infine, d) guadagnato di più dell’investimento privo di rischio.
Inoltre CONSOB chiedeva di calcolare anche i valori medi statistici dei rendimenti in questi 4 casi.
Bene, ho capito! Ma come funziona oggi?
Se ci riferiamo alle obbligazioni e altri strumenti, come azioni e certificates,
fa testo il regolamento europeo 486 del 2012
in cui si è preferito adottare un approccio what-if, cioè "cosa succede se";
mostrare al cliente nella nota di sintesi cosa accadrebbe al suo investimento se le variabili
da cui dipende il prodotto, come il tasso EURIBOR o l’indice azionario,
avessero andamenti sfavorevoli, intermedi, favorevoli.
Questi 3 scenari non sono definiti in modo prescrittivo dalla normativa,
dipendono infatti dal prodotto e sono definiti dalla banca e riportati nel prospetto.
Per farti un esempio, se un prodotto fornisce una cedola annuale collegata all’indice della borsa di Milano
allora gli scenari saranno rispettivamente quelli di borsa in discesa, stabile, in aumento.
Il dettaglio, cioè a quanti punti percentuali di variazione dell’indice corrispondono gli scenari
e il relativo calcolo della cedola del prodotto, viene descritto nel prospetto.
Nel caso dei fondi comuni di investimento la normativa
prevede che sia riportato il grado di rischio del prodotto nel KIID.
Nel caso dei fondi e delle obbligazioni vengono mostrati i rendimenti
che il prodotto avrebbe ottenuto se fosse stato emesso nel passato.
Si chiamano simulazioni retrospettive.
L’obiettivo è fare apprezzare appieno la rischiosità del prodotto.
Per le polizze assicurative con contenuto finanziario, quali le cosiddettte unit-linked e index-linked
collegate un insieme di fondi o a linee di portafoglio, la normativa è simile a quella per le obbligazioni.
C’è un prospetto, che comprende una nota sintetica, da consegnare obbligatoriamente al cliente.
In questa nota i rischi devono essere rappresentati su una scala standard da 1 a 6.
Devono essere riportati anche i rendimenti storici del prodotto.
La richiesta di presentare una misura più prettamente quantitativa del rischio rientra invece nella normativa
detta PRIIPS dei prodotti finanziari e assicurativi retail, che entrerà in vigore nel gennaio 2018.
Tale normativa prevede che venga riportato un VaR al 97.5%
e soprattutto che vengano evidenziati gli scenari di rendimento su 3 diversi livelli:
leggermente sfavorevole, mediano e leggermente favorevole.
Infine, notizia di pochi mesi fa, su richiesta della Commissione europea
è probabile venga inserito anche un 4° scenario, detto di stress,
così da poter valutare i rendimenti sotto condizioni di mercato estreme negative.
Ma tu cosa pensi: meglio le analisi per scenario o gli indicatori di rischio quantitativi?
Non esistono indicatori in assoluto migliori.
Devi usarli conoscendone caratteristiche e limiti.
Di certo l’analisi what if è molto utile, perché ti fornisce in modo chiaro il legame
tra quello che accade nel mercato, cioè lo scenario, e il rendimento del prodotto che stai valutando.
Direi che ti permette di capire come funziona il prodotto
e come reagisce il suo rendimento al variare degli scenari.
La bontà del risultato dipende molto da come sono costruiti gli scenari.
Il VaR e l’approccio probabilistico invece ti consentono di capire meglio cosa succede
se si verificano eventi negativi e le perdite collegate.
Però attento: non prendere queste informazioni come oro colato.
Si tratta di stime e a volte il margine di errore può essere elevato.
Il discorso è stato impegnativo, ma mi sembra di avere capito.
Grazie Michele.