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Sono il Dott. Chessa Massimo, mi occupo di cardiopatie congenite: cardiopatie congenite
che sono un problema che interessa dall’età fetale e che accompagna per tutta la vita
la persona che ne è affetta. Lavoro all’interno del Policlinico San Donato, che si occupa
di queste problematiche, dove esiste sia la possibilità di trattare questi pazienti dall’età
fetale sia in età pediatrica e adulta. Parliamo di coartazione dell’aorta, una delle cardiopatie
più importanti, che ha un’incidenza all’interno di tutte le cardiopatie variabilmente descritta
tra il 5 e l’8%, con una maggiore incidenza nei soggetti di sesso femminile, con un rapporto
di 3 a 1. La coartazione ortica è una cardiopatia che può manifestarsi in modi diversi nei
diversi periodi della vita: ci può essere una diagnosi alla nascita, con manifestazioni
cliniche molto importanti, in quanto il neonato può arrivare in pronto soccorso, nelle prime
settimane di vita, per uno scompenso cardiocircolatorio, legato all’incapacità del cuore di adattarsi
in modo sufficiente a un restringimento del vaso chiamato appunto aorta, nella parte che
da cui si origina il dotto arterioso e questa incapacità di adeguarsi a questa zona di
restringimento può avere degli effetti clinici molto importanti. In altre situazioni invece
questa zona di restringimento dell’aorta non è talmente importante da determinare
un quadro clinico immediato, ma permette al cuore, al ventricolo sinistro in particolar
modo, di adattarsi e conseguentemente il bambino cresce e la diagnosi può essere fatta più
tardivamente. Molto spesso, il sospetto diagnostico nasce o perché, durante una visita pediatrica,
il medico non trova i polsi femorali, ossia non sente pulsare le arterie femorali all’inguine
e questo è un segno molto ben valutabile da qualunque medico e è molto importante,
perché può essere un indice, una fonte di sospetto molto significativa. Oppure la diagnosi
può essere posta in età più avanzata, per la comparsa di ipertensione arteriosa: si
va dal medico, che misura anche per altri motivi la pressione arteriosa e si riscontra
che questa è aumentata in modo significativo; si fanno tutti gli accertamenti e si ritrova
che l’unica causa è, verosimilmente, la coartazione dell’aorta. Coartazione che,
come ho detto, è di fatto un restringimento di questo tubo, che è l’aorta, di questo
vaso che porta il sangue in tutto il corpo, nella zona che viene tecnicamente definita
dell’istmo aortico, ossia quella zona che generalmente dà origine al dotto arterioso,
ovvero questo piccolo vaso che mette in comunicazione l’aorta con l’arteria polmonare.
Come fare per diagnosticarla, una volta che il sospetto viene posto? Generalmente è sufficiente
un ecocardiogramma, che ci permette di visualizzare la parte ristretta e, ancora meglio, ci permette
di valutare funzionalmente, con il doppler e con il colordoppler, la presenza di questa
zona di restringimento, nonché ci permette di valutare i diametri nell’aorta nella
porzione a monte e a valle della parte ristretta. Qualora vi sia la necessità di una definizione
anatomica ancora migliore, si può ricorrere o a un cateterismo cardiaco, e quindi a una
valutazione angiografica, oppure si può eseguire una risonanza magnetica, che ci permette anche
una ricostruzione tridimensionale del vaso aortico e una possibilità di valutare le
opzioni terapeutiche in modo più accurato. Opzioni terapeutiche che possono essere sia
chirurgiche e sia percutanee, dove per percutaneo si intende il trattamento che può essere
fatto utilizzando dei cateteri introdotti dai vasi dell’inguine, ossia dai vasi femorali.
Dal punto di vista chirurgico esistono varie tecniche, come per esempio il posizionamento
di un patch, che consiste, come potete vedere, nell’incisione che il chirurgo fa della
zona ristretta e nell’applicazione di un patch di tessuto, che così va a allargare
questa porzione del vaso aortico. Altra possibilità è la seguente, in cui, come vedete, viene
sezionato il dotto, viene asportata una parte, una porzione della zona a monte e a valle
della parte ristretta del vaso e viene applicato un piccolo condotto che si interpone tra i
due monconi del vaso aortico o, ancora, terza possibilità, che è anche quella più frequentemente
utilizzata in età neonatale e in età pediatrica, è la tecnica terminoterminale, così definita
perché, dopo la sezione e l’asportazione di una porzione a monte e a valle della zona
ristretta, viene eseguita una anastomosi diretta, ossia un ricongiungimento diretto dei due
monconi a monte e a valle, ricreando così la giunzione completa del vaso.
La tecnica percutanea può essere applicata anche in età pediatrica: è possibile,
infatti, eseguire un’angioplastica, cioè una dilatazione della zona ristretta con un
palloncino, anche in età neonatale. Tuttavia, laddove i chirurghi e la chirurgia sono presenti,
in età neonatale è, a mio giudizio, più indicato il trattamento chirurgico, poiché
i risultati ottenuti sono sicuramente migliori. Dopo i 25 /30 chili di peso è possibile,
invece, approcciare il problema direttamente con una tecnica percutanea, con un’interposizione
di uno stent: uno stent è una sorta di impalcatura metallica cilindrica che può essere o costituita
da solo metallo, o costituita da metallo ricoperto da un tessuto, che viene posizionata, come
vedete in questa ricostruzione tridimensionale, facendo passare una guida attraverso la zona
ristretta, sulla guida un catetere e, attraverso il catetere, si libera uno stent, che è chiuso
e che viene aperto e dilatato con un pallone al suo interno, raggiungendo così il diametro
che ci si è prefissati di raggiungere: diametro che non necessariamente deve essere simile
a quello dell’aorta nella porzione soprastante e sottostante che, in alcuni casi, può essere
dilatata e che tuttavia può accompagnare la crescita del bambino, perché può essere
ridilatata in un secondo momento. È possibile che sia dopo la chirurgia e sia dopo il trattamento
percutaneo la zona ristretta abbia un nuovo restringimento che si viene a creare e che
si determina con la crescita del soggetto: per tale motivo può essere necessaria una
seconda procedura. Generalmente la seconda procedura in caso di ristenosi è una procedura
percutanea, sia che vi sia stato un precedente approccio chirurgico, sia che vi sia stato
un precedente approccio con un palloncino o con uno stent e, come ho detto prima, qualora
la ristenosi avvenga dopo che già lo stent è stato posizionato, si può procedere a
una seconda dilatazione o anche una terza dilatazione dello stent, fino a ottenere i
risultati che ci si è prefissati, ossia di permettere un buon flusso del sangue per cui,
anche se il gradiente pressorio, cioè la differenza di pressione tra l’aorta nella
sua porzione a monte e l’aorta nella sua pressione a valle della stenosi non è zero,
è tuttavia tale da non pregiudicare la vita normale del soggetto.
Si parla, per un accordo scientifico internazionale, di una ristenosi, di una ricoartazione quando
vi è un gradiente, tra queste due porzioni dell’aorta, uguale o superiore ai 25 /30
millimetri di mercurio. Che cosa fare per monitorare, in questi casi, il buon risultato
terapeutico? Generalmente, oltre a una valutazione periodica con il proprio cardiologo curante,
è necessario periodicamente controllare la pressione arteriosa, eseguire una prova da
sforzo, che ci permette di valutare il profilo pressorio durante lo sforzo, che può essere
normale ma può anche avere un comportamento anomalo, con un aumento significativo della
pressione oltre quello che dovrebbe essere per lo sforzo che si sta compiendo. Inoltre,
se vi è stato il posizionamento di uno stent, può essere utile eseguire una Tac, ossia
una Tomografia Assiale Computerizzata spiraliforme, in maniera tale che vi sia la visualizzazione
dello stent e una ricostruzione tridimensionale del vaso